Codice Penale art. 321 - Pene per il corruttore (1) (2).Pene per il corruttore (1) (2). [I]. Le pene stabilite nel primo comma dell'articolo 318, nell'articolo 319, nell'articolo 319-bis, nell'articolo 319-ter e nell'articolo 320 in relazione alle suddette ipotesi degli articoli 318 e 319, si applicano anche a chi dà o promette al pubblico ufficiale [357] o all'incaricato di un pubblico servizio [358] il denaro od altra utilità [32-quater] (3). (1) Articolo sostituito dall'art. 11 l. 26 aprile 1990, n. 86. (2) In tema di responsabilità amministrativa degli enti v. art. 25 d.lg. 8 giugno 2001, n. 231. (3) Comma modificato dall'art. 2 l. 7 febbraio 1992, n. 181. InquadramentoCon una evidente funzione incriminatrice, la norma in esame estende al corruttore le pene previste dagli artt. 318, 319, 319-bis, 319-ter e 320 per i soggetti che svolgono una pubblica funzione o un pubblico servizio, attribuendo così ai delitti di corruzione la loro tipica struttura bilaterale (reati-accordo). Ambito applicativoA seguito della riformulazione dell'art. 318 (che non distingue più fra corruzione antecedente e susseguente), risulta oggi punibile anche la corruzione impropria susseguente (confluita nella corruzione per l'esercizio della funzione) compiuta dal privato. SoggettiSoggetto attivo Quello in esame è un reato comune, che può essere commesso da chiunque. Non si tratta, quindi, di un reato dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione. Tuttavia, la stretta connessione funzionale con i reati di corruzione ne giustifica la collocazione all'interno del capo I del titolo II. Il termine “privato” utilizzato dalla norma non deve indurre in errore: nulla osta a che corruttore sia anche un funzionario pubblico, estraneo all'ufficio ricoperto dal corrotto. Infatti, tale soggetto, operando fuori dal suo ufficio, è, appunto, un privato cittadino. In virtù dell'art. 322-bis, la corruzione attiva può essere realizzata anche nei confronti dei membri degli organi delle Comunità europee, dei membri della Commissione europea, del Parlamento europeo, della Corte di Giustizia e della Corte dei conti delle Comunità europee, dei funzionari o agenti delle Comunità europee o dei soggetti ad essi assimilati, degli agenti di altri Stati esteri, ovvero di coloro che nell'ambito degli Stati membri dell'Unione europea svolgono funzioni corrispondenti ai pubblici ufficiali e agli incaricati di pubblico servizio, dei giudici, del procuratore, dei procuratori aggiunti, dei funzionari e degli agenti della Corte penale internazionale i quali esercitano funzioni corrispondenti a quelle dei funzionari o agenti della Corte stessa, dei membri e degli addetti a enti costituiti sulla base del Trattato istitutivo della Corte penale internazionale. Il giudice del processo per l'imputazione di corruzione di un funzionario di uno Stato estero deve procedere, anche d'ufficio, all'accertamento delle norme di diritto straniero utili al fine di stabilire se il funzionario corrotto svolga funzioni o attività corrispondenti a quelle dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio (Cass. VI, n. 49532/2009). Il principio discende dall'art. 14 l. n. 218/1995, il quale, in tema di accertamento della legge straniera, pone un principio generale dell'ordinamento, rilevante anche nel procedimento penale in ogni caso in cui l'applicazione della legge penale nazionale presupponga l'accertamento di un dato normativo straniero. Ai fini dell'integrazione del delitto di corruzione attiva non ha rilevanza l'individuazione dell'identità del funzionario corrotto, che può restare ignoto; tuttavia, è indispensabile che non sussistano dubbi circa l'effettivo concorso di un pubblico ufficiale o di un incaricato di pubblico servizio nel fatto di corruzione (Cass. VI, n.1/2014 che ha ritenuto la semplice consegna sine titulo di ingenti somme di denaro ad un intermediario insufficiente ad affermare con certezza, in mancanza di ulteriori elementi, che si sia consumato un episodio di corruzione, ben potendo tale condotta integrare alternativamente altri reati). MaterialitàCondotta Le condotte di corruzione attiva consistono in una dazione o in una promessa, il cui oggetto è costituito da denaro od altra utilità e il cui destinatario è un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio. Il denaro o l'altra utilità devono essere dati o promessi al pubblico funzionario per l'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri (corruzione attiva per l'esercizio delle funzioni), per omettere o ritardare un atto del suo ufficio o per compiere un atto contrario ai doveri d'ufficio (corruzione attiva propria antecedente), per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio o per aver compiuto un atto contrario ai doveri d'ufficio (corruzione attiva propria susseguente), per danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo (corruzione attiva in atti giudiziari). Il reato in esame ha struttura bilaterale, nel senso che, per il suo perfezionamento, occorre che il pubblico funzionario accetti la dazione o la promessa perché in caso contrario ricorrerà la fattispecie di cui all'art. 322. L'iniziativa della promessa o dazione può anche provenire dal pubblico funzionario corrotto che sollecita il corruttore a dargli o promettergli denaro o altra utilità. Anche in tal caso, però, si ritiene necessario che il pubblico ufficiale riceva quanto dato o ne accetti la promessa (Fiandaca- Musco, PS I 2002, 230; Grosso, 220). Se il pubblico funzionario simula di accettare la proposta corruttrice del privato al solo fine di smascherarlo, si ritiene che il privato debba rispondere a titolo di istigazione alla corruzione passiva, anziché di corruzione attiva piena (Segreto-De Luca, 368; Grosso, 193). L'offerta e la promessa non devono assumere una forma particolare, ma possono essere anche formulate in modo implicito, purché idoneo a manifestare adeguatamente l'intenzione (di offrire o di promettere) dell'extraneus. Perché assumano rilevanza ai sensi dell'art. 321, la dazione o la promessa devono essere poste in connessione funzionale con il compimento di un atto d'ufficio. Elemento psicologicoDolo. Per aversi dolo di corruzione attiva occorre che l'agente, nel dare o promettere denaro od altra utilità, sia consapevole di indirizzare tali condotte verso un pubblico ufficiale, con la finalità di retribuirlo per un atto del suo ufficio e con la consapevolezza che quella data o promessa è una retribuzione indebita. Occorre, inoltre, l'ulteriore finalità di stipulare il pactum sceleris per conseguire lo scopo rappresentato dall'atto (compiuto, omesso o ritardato), senza che rilevi, ai fini dell'integrazione del delitto, l'effettivo conseguimento di tale obiettivo (dolo specifico). Perché si perfezioni la corruzione attiva, occorre che il pubblico ufficiale accetti la dazione o la promessa dal privato con la consapevolezza che il privato intende retribuirlo per un atto d'ufficio. In caso contrario, risulterebbero integrati i requisiti della sola istigazione attiva alla corruzione passiva (art. 322). Consumazione e tentativoConsumazione Il delitto in esame si consuma nel momento e nel luogo in cui il funzionario pubblico ha ricevuto il denaro o l'altra utilità oppure ne ha accettato la promessa per compiere uno dei delitti di cui agli artt. 318, 319 e 319-ter. Forme di manifestazioneCircostanze Pur in assenza di un espresso richiamo, deve ritenersi che anche al corruttore sia applicabile la circostanza attenuante di cui all'art. 323-bis, comma 1. Non vi sono dubbi, invece, in ordine all'applicazione della circostanza attenuante ad effetto speciale di cui al capoverso dell'art. 323-bis, che prevede una diminuzione della pena da un terzo a due terzi per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l'individuazione degli altri responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite. Sanzioni accessorieAl reato in esame si applicano le sanzioni accessorie previste dal l'art. 317-bis, al cui commento si rinvia. La Suprema Corte ha chiarito che, in caso di condanna per fatti commessi prima dell'entrata in vigore della l. n. 3/2019, la pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici non trova applicazione, dal momento che l'art. 317-bis, nel testo antecedente alla novella, non conteneva alcun riferimento alla fattispecie di reato disciplinata dall'art. 321 (Cass. VI, n. 5457/2019). La causa di non punibilità della collaborazioneAl reato in esame si applica la causa di non punibilità prevista dall’art. 323-ter, al cui commento si rinvia. Concorso di reatiComparaggio È configurabile il concorso formale tra il reato di comparaggio di cui agli artt. 170 ss. r.d. n. 1265/1934, consistente nel dare o ricevere, anche a titolo di mera promessa, denaro o altra utilità allo scopo di agevolare la diffusione di specialità medicinali o di ogni altro prodotto a uso farmaceutico, ed il reato di corruzione impropria, stante la clausola di riserva dell'applicabilità delle norme sul concorso dei reati, espressamente prevista dal suddetto art. 170, comma 2, che esclude il rapporto di specialità tra le due fattispecie incriminatrici (Cass. VI, n. 1207/2011). Finanziamento illecito ai partiti Tra il reato di corruzione e quello di finanziamento illecito dei partiti, deve ritenersi ammissibile il concorso formale in quanto diverse sono le condotte e diversi i beni giuridici tutelati dalle rispettive norme incriminatrici: il buon andamento della Pubblica Amministrazione, per quanto attiene alla corruzione, ed il metodo democratico, con riguardo all'altro reato (Cass. VI, n. 3926/1998). Responsabilità dell'enteL'art. 25 d.lgs. n. 231/2001 prevede: a) la sanzione pecuniaria fino a duecento quote per la corruzione attiva impropria antecedente, anche quando il fatto offende gli interessi finanziari dell'Unione europea, in relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 314, primo comma, 316 e 323 del codice penale (come recentemente modificato dal d.lgs. n. 75/2020); b) la sanzione pecuniaria da duecento a seicento quote nonché le sanzioni interdittive previste dall'art. 9 d.lgs. n. 231/2001 per la corruzione attiva propria e per la corruzione attiva in atti giudiziari; c) la sanzione pecuniaria da trecento ad ottocento quote oltre alle citate sanzioni interdittive nel caso di corruzione aggravata exartt. 319-bis e 319-ter, comma 2. ConfiscaL'art. 322-ter, comma 2, prevede che nel caso di condanna, o di applicazione della pena su richiesta delle parti, per il delitto di corruzione attiva è sempre ordinata la confisca dei beni che costituiscono il profitto (confisca diretta) salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a quello di detto profitto e, comunque, non inferiore a quello del denaro o delle altre utilità date o promesse al pubblico ufficiale o all'incaricato di pubblico servizio o agli altri soggetti indicati nell'articolo 322-bis, comma 2 (confisca per equivalente). Occorre segnalare che in relazione ai beni sequestrati in vista della confisca di cui all’art. 322-ter , diversi dal denaro e dalle disponibilità finanziarie, l’art. 322-ter.1, al cui commento si rinvia, prevede la possibilità di affidarli in custodia giudiziale agli organi della polizia giudiziaria che ne facciano richiesta per le proprie esigenze operative. Come chiarito dalla Suprema Corte, il sequestro e la confisca di beni nella disponibilità del corruttore di valore corrispondente al profitto, di cui non sia possibile l'apprensione diretta, presuppongono sempre che il profitto sia stato effettivamente conseguito dal prevenuto, poiché solo a tale condizione è giustificabile una forma di ablazione finalizzata ad impedire che il corruttore possa avvantaggiarsi dei «frutti economici» della sua iniziativa illecita (Cass. VI, n. 9929/2014). Con particolare riferimento alla tematiche degli appalti pubblici, la Corte di Cassazione ha chiarito che, in presenza di un contratto di appalto ottenuto con la corruzione di pubblici funzionari, la nozione di profitto confiscabile al corruttore non va identificata con l'intero valore del rapporto sinallagmatico instaurato con la l'amministrazione pubblica, dovendosi, in proposito, distinguere il profitto direttamente derivato dall'illecito penale dal corrispettivo conseguito per l'effettiva e corretta erogazione delle prestazioni svolte in favore della stessa amministrazione, le quali non possono considerarsi automaticamente illecite in ragione dell'illiceità della causa remota (Cass. VI, n. 17897/2009). La disciplina della confisca allargata dei beni e delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito (art. 240-bis ) non si applica, nelle ipotesi di corruzione, ai beni del corruttore, stante la mancata inclusione, tra i reati indicati dalla norma, della previsione dell'art. 321 (Cass. I, n. 28011/2012 ; Cass. VI, n. 45102/2021, la quale osserva che la norma presenta profili di irragionevolezza, stante l'inclusione tra i reati presupposto di fattispecie di minore gravità, quali i reati di cui agli artt. 322 e 319-quater, ma che allo stato non è possibile sollevare questione di legittimità costituzionale in quanto questa si risolverebbe nell'estensione in malam partem dell'ambito applicativo di essa). Profili processualiRevisione per inconciliabilità dei giudicati È suscettibile di revisione, a norma dell'art. 630, comma 1, lett. a), c.p.p., la sentenza irrevocabile di applicazione della pena emessa ai sensi dell'art. 444 c.p.p. nei confronti del privato corruttore, nel caso di passaggio in giudicato della sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto a carico del pubblico ufficiale imputato del delitto di corruzione, posta l'inconciliabilità delle due pronunce per l'impossibilità di ipotizzare il predetto reato in assenza dell'attività coordinata del corruttore e del corrotto (Cass. VI, n. 23682/2015). La sospensione condizionale della pena L'art. 165, comma 4, come modificato dall'art. 2, comma 1, l. n. 69/2015 e dalla l. n. 3/2019, prevede che nel caso di condanna per il delitto in esame, l'accesso al beneficio della sospensione condizionale della pena è subordinato al pagamento della somma determinata a titolo di riparazione pecuniaria ai sensi dell'art. 322-quater, cioè della somma equivalente al prezzo o al profitto del reato, fermo rimanendo il diritto all'ulteriore eventuale risarcimento del danno. Occorre rilevare che il primo comma dell'art. 166, come novellato dalla l. n. 3/2019, prevede che il giudice, quando riconosce il beneficio della sospensione condizionale della pena, possa stabile che l'effetto sospensivo non si estenda alle pene accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici e dell'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione. Il divieto di concessione dei benefici penitenziari Il primo comma dell'art. 4-bis l. n. 354/1975, come novellato dalla l. n. 3/2019, prevede che l'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, esclusa la liberazione anticipata, possono essere concessi ai detenuti e internati per il delitto in esame solo nei casi in cui i predetti soggetti collaborino con la giustizia a norma dell'art. 58-ter ord. pen. o dell'art. 323-bis, secondo comma. Le operazioni sotto copertura Al fine di dare attuazione agli impegni assunti dall'Italia con la ratifica (eseguita con l. 3 agosto 2009, n. 116) della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dall'Assemblea generale dell'ONU il 31 ottobre 2003 (c.d. convenzione di Merida), la l. n. 3/2019 ha inserito il delitto in esame nel catalogo delle fattispecie che consentono lo svolgimento di operazioni di polizia sotto copertura al fine di acquisire elementi prova ai sensi dell'art. 9 l. 16 marzo 2006, n. 146. La preoccupazione del possibile abuso delle operazioni sotto copertura, per provocare il reato, è alla base della previsione secondo cui la causa di non punibilità di cui all'art. 323-ter (connessa alla denuncia del reato) non si applica in favore dell'agente sotto copertura che abbia agito in violazione del citato art. 9. Senonché il testo della disposizione, nella misura in cui consente all'agente sotto copertura di dare e ricevere tangenti, anche nell'ambito di un rapporto bilaterale (cioè al di fuori di contesti complessi/organizzati, ma nell'ambito di un semplice schema corrotto-corruttore), lascia residuare il rischio di possibili abusi, sub specie di sconfinamenti, più o meno palesi, nella provocazione. Come correttamente osservato in dottrina (Gatta), si tratta di un rischio che potrà e dovrà essere evitato ricorrendo a un'interpretazione conforme a Costituzione, che valorizzi, per il tramite dell'art. 117 Cost., la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo in materia di entrapment, che ravvisa una violazione dell'art. 6 CEDU (diritto all'equo processo) quando risulti che, senza la provocazione, il reato non sarebbe stato commesso e che, pertanto, le forze dell'ordine non si sono limitate a un ruolo passivo rispetto a un reato in essere, ma hanno creato il reato stesso, incitando l'autore a commetterlo. BibliografiaV. sub art. 320. |